La liturgia di questa quarta domenica al 3 capitolo di Giovanni ci propone la seconda parte dell’incontro tra Gesù e Nicodemo. Questo pio fariseo, capo dei giudei, a differenza della cerchia a cui appartiene, è un uomo retto, pieno di zelo, in sincera ricerca del regno di Dio. E il suo incontro con Gesù rappresenta molto bene il cammino di ogni credente da una fede imperfetta alla vera rinascita. Per questo è importante rileggere tutto il brano, per comprendere alcuni passaggi di questa conversione radicale, della mente e del cuore.
Attraversare la notte
Il primo elemento su cui vorrei soffermarmi è proprio l’annotazione temporale che troviamo all’inizio: di notte. Nicodemo infatti va da Gesù di notte. Perché, potremmo chiederci? Ci sono diversi motivi che si intrecciano. Innanzitutto probabilmente aveva un certo timore dei giudei, che muovono continuamente guerra a Gesù. La notte però rappresenta anche i dubbi della fede: Nicodemo è un uomo che ha delle certezze, è un maestro che conosce profondamente le Scritture, ma ciò nonostante è nel buio, cerca delle risposte, come si vede dal dialogo con Gesù. Inoltre tutto il vangelo di Giovanni, già dal prologo, è una strenua lotta tra le tenebre e la luce: la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta/vinta. E Nicodemo è un uomo che combatte dentro di sé per poter accogliere pienamente questa luce.
Mi è subito venuto in mente un canone di Taizè, che mette in musica una preghiera di San Giovanni della croce: Di notte andremo di notte per incontrare la fonte, solo la sete ci illumina, solo la sete ci illumina. La trascrivo anche nell’originale spagnolo, che rende ancora di più la realtà di questa ricerca struggente De noche iremos de noche, que para encontrar la fuente, solo la sed nos alumbra, solo la sed nos alumbra. Noi traduciamo che la sete ci illumina, ma letteralmente sarebbe: ci adombra, cioè, ci fa ombra. Infatti se camminiamo dal buio alla luce, l’ombra ci sta alle spalle.
Mi piace pensare che Nicodemo è mosso da un’autentica sete di verità. Ed è proprio questa sete, questa mancanza e questa povertà ad illuminarlo, cioè a farlo venire alla luce pian piano, a muovere i suoi passi verso Gesù, verso la luce, verso la verità.
Allora anche noi dovremmo guardare con più bontà ai nostri momenti di buio, perché possono diventare il luogo e l’occasione della nostra ricerca e del nostro grido, del nostro volgerci sincero a Gesù. Quando non comprendiamo il senso delle cose, quando ci sentiamo smarriti, dentro le nostre notti, abbiamo il coraggio di andare da Gesù, di lasciarci illuminare e guidare da Lui.
Lasciarsi rigenerare dallo Spirito
La prima cosa che Nicodemo dice a Gesù è: sappiamo che sei un maestro venuto da Dio. Cioè gli sbatte in faccia la sua conoscenza, la sua certezza di fede, che di fatto è anche giusta, onesta: nessuno può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui. La sua stessa conoscenza, il suo sapere rischia di diventare supponenza, di essere un ostacolo alla vera fede. Ma Gesù, per tutto il dialogo non fa che smascherare questa scienza imperfetta di Nicodemo, che dice di sapere, ma in realtà non sa. In realtà gli dirà che per entrare nel Regno di Dio si tratta di rinascere, non tanto di conoscere. Non è l’uomo che con la sua scienza, i suoi sforzi, i suoi riti, arriva fino a Dio, ma è Dio che raggiunge l’uomo con la sua Parola. Al suo sapere egli contrappone la vera sapienza dello Spirito, che paragona al vento, di cui non si conosce né l’origine, né la destinazione: Così è di chiunque è nato dallo Spirito. Anche nel prologo Giovanni era emerso molto bene questa realtà dell’essere rigenerati: A quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E noi da chi, da che cosa ci lasciamo rigenerare? Ancora una volta siamo chiamati ad abbandonare la nostra supponenza, la nostra arroganza, il primato della nostra volontà di potenza, per lasciare realmente spazio all’azione di Dio. Non siamo noi i veri protagonisti della nostra conversione. Dobbiamo ribaltare la prospettiva: lasciarci fare più che fare, lasciarci trasformare, più che cambiare noi. È la prospettiva della passività più che dell’attività, dell’acconsentire, del lasciare che la Vita ci cambi e ci detti le sue direzioni.
Nicodemo di Alexander Andreyevich Ivanov
Abbandonarsi all’amore
Questo cammino di fede, che è una lotta tra le tenebre e la luce, che passa per il buio e per la disponibilità passiva a lasciarsi trasformare, ha il suo culmine nel segno della croce, che è il principio della pericope odierna, e che è preceduto da quel discorso sulle cose del cielo, con i due verbi del salire e discendere: Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo. Dopo aver richiamato l’immagine del serpente bronzeo che Mosè innalzò nel deserto, Gesù arriva al cuore della fede, l’innalzamento del Figlio dell’uomo: Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Se vuole entrare nel regno di Dio, l’uomo deve lasciarsi iniziare dal mistero di Gesù, un mistero che sarà pienamente manifestato e compiuto solo sulla croce, perché è lì che Gesù rivela l’amore con cui il Padre ama il mondo. Si tratta allora di guardare alla potenza di Gesù, crocifisso e risorto, per lasciarci rigenerare dal suo amore: è questo che ci fa venire alla luce, che ci fa rinascere, che ci fa passare dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce.
Colpisce che questo dialogo tra Gesù e Nicodemo, via via che si procede, si trasforma sempre di più in un monologo, in cui alla fine è la rivelazione a prevalere e non c’è più spazio per il dibattito. Qui è la scelta fondamentale per l’uomo e per ciascuno di noi: la nostra fede dipende da quanto noi concretamente sappiamo abbandonarci a questo amore o da quanto noi lo rifiutiamo, da quanto sappiamo fare, realizzare la verità. E qual è la verità della nostra vita se non amare a nostra volta, come siamo amati noi stessi da Dio?
Il Vangelo non ci dice come si è congedato Nicodemo da Gesù, ma lo ritroviamo in altri due momenti: quando si contrappone all’ostilità dei giudei, che vogliono condannare Gesù prima ancora di averlo ascoltato (Gv 7, 48) e alla sua sepoltura, quando sempre di notte porterà una mistura di mirra e di aloe per ungerne il corpo (Gv 19, 39-40). Possiamo senz’altro affermare che abbandonarsi all’amore ci può rendere coraggiosi e arditi, capaci di quei gesti eccedenti e gratuiti, che fanno di noi creature nuove, rigenerate dall’alto.