Il vangelo di questa seconda domenica di avvento, incentrato sulla figura di Giovanni Battista, è un invito alla conversione. La sua è una voce che grida nel deserto, un deserto che oggi per noi può assumere tante connotazioni: la difficoltà a comunicare, la solitudine, la guerra e la violenza che attraversa, in piccola e larga scala, le nostre relazioni, le divisioni e le rotture che spesso viviamo nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità.
Il deserto sicuramente non è un luogo ospitale e rassicurante, ma è anche il luogo in cui Dio può parlare all’uomo, come ci ricorda un brano di Osea: La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore (Os 2, 16b). In questo deserto, con le mille sfumature e facce che può assumere per ciascuno di noi, siamo invitati a preparare la via del Signore e a raddrizzare i suoi sentieri. Ancora una volta tutte le difficoltà che viviamo diventano un’occasione di conversione, di cambiamento, di cammino. Invece di lamentarci o di desiderare una situazione diversa, siamo disposti a lasciarci trasformare dalla Parola e a ritagliarci un tempo per ascoltare il Signore?
Uno stile di povertà
Giovanni ci mostra, attraverso il suo vestito e il suo cibo così essenziali, che non siamo noi a dover fare chissà quale sforzo per guadagnarci la Parola: in fondo è la Parola stessa che, incarnandosi in noi, ci permette la conversione. Non ha paura di entrare nelle nostre povertà, nelle nostre pochezze e sozzure per rendere il nostro deserto un giardino: il Regno dei cieli è vicino, non sei tu che devi andare a lui. Certamente non è tanto bello sentirsi dire razza di vipere, però forse la conversione passa proprio dall’accettare che apparteniamo a questa razza menzognera e che solo Dio può fare di noi dei figli, attraverso lo Spirito Santo e il fuoco. Il miracolo è solo uno: lasciarsi convertire e illuminare dalla Parola, accettare che il nostro cuore è di pietra e che solo Dio ha il potere di trasformarlo, suscitando la fede e un frutto degno della conversione.
Uno stile di fraternità
La prima lettura, facendo riferimento al germoglio che spunterà dal tronco inaridito di Iesse, ci parla di una pienezza e di un dono immenso. La pace messianica riguarda la costruzione di un regno di giustizia e imparzialità, di difesa dell’oppresso e di un’armonia nuova tra tutte le creature. San Paolo nella seconda lettura fa un invito puntuale: Accoglietevi gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi. Questo preparare le strade e raddrizzare i sentieri dunque assume almeno due connotazioni.
La prima è lasciarci cambiare da Dio, gustando la sua vicinanza e prossimità: non tanto pensare di farcela con le nostre sole forze, ma riconoscere che la sua forza ci rianima da dentro e che la sorgente di ogni cambiamento è il suo amore. Quali sono i germogli che riconosciamo presenti nei nostri deserti? Prendiamoci del tempo per riconoscerli e benedire di cuore il Signore per questi semi di vita. Ricordiamoci che dal verbo riconoscere deriva il sostantivo riconoscenza, che noi traduciamo anche con gratitudine, l’atteggiamento di chi sa dire grazie per i doni ricevuti.
La seconda è l’impegno a vivere la fraternità e l’accoglienza verso gli altri, verso tutti. E anche qui siamo consapevoli che la comunione non dipende in prima battuta dai nostri tentativi, ma dal sentirsi accolti e amati da Cristo. Siamo disposti a vivificare i nostri rapporti con piccoli gesti di accoglienza reciproca? Sarà un sorriso, un complimento, un abbraccio silenzioso, uno sguardo buono, un gesto nascosto: piccoli semi di vita nei nostri deserti. Ma ritagliamoci anche degli spazi concreti per vivere la fraternità, dei momenti gratuiti per ridare ossigeno alle nostre relazioni. Non servono grandi cose. Forse potremmo vivere con più distensione e presenza a noi stessi i momenti che già abbiamo: la cena ad esempio o il dopocena. Non lasciamoci rubare, direbbe Papa Francesco la gioia e l’impegno della fraternità, attraverso le occasioni più ordinarie.
Uno stile di conversione
Per questa settimana vi suggerisco la lettura della Laudato si’ ai numeri 216-221
Desidero proporre ai cristiani alcune linee di spiritualità ecologica, che nascono dalle condizioni della nostra fede […]. Infatti non sarà possibile impegnarsi in cose grandi soltanto con delle dottrine, senza una mistica che ci animi, senza qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria (216).
Ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie […]. La conversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambiamento duraturo è anche una conversione comunitaria (219).
In primo luogo implica gratitudine e gratuità, vale a dire un riconoscimento del mondo come dono ricevuto dall’amore del Padre […]. Implica pure l’amorevole consapevolezza di non essere separati dalle altre creature […]. Inoltre, facendo crescere le capacità peculiari che Dio ha dato a ciascun credente, la conversione ecologica lo conduce a sviluppare la sua creatività e il suo entusiasmo (220).