La liturgia di questa quinta domenica di quaresima ci fa leggere una sezione del capitolo 12 di Giovanni, che conclude il libro dei segni e precede i racconti della passione. Dopo l’unzione di Betania (12, 1-19) in cui Gesù si concede una cena tra amici e il suo ingresso a Gerusalemme (12, 12-19), in questa parte troviamo alcuni greci che erano saliti a Gerusalemme per il culto e chiedono esplicitamente di vedere Gesù.
Perché vogliamo avere a che fare con Gesù?
Colpiscono nei versetti immediatamente precedenti almeno due contrasti. Il primo è quello tra la folla e i farisei: la folla, che in qualche modo segue Gesù e chiede di poter vedere i suoi segni, e i farisei, che al contrario cercano in tutti i modi di eliminarlo (non solo vogliono uccidere lui, ma anche Lazzaro che aveva risuscitato dai morti). Il secondo contrasto è interno ai motivi che spingono la folla a cercare Gesù: da un lato infatti queste numerose persone sono mosse da una curiosità superficiale, legata ai prodigi e agli effetti speciali della sua personalità; dall’altro lato sembrano guidati dal bisogno di vederlo, di incontrarlo, di stare con lui.
Finché nel vangelo di oggi non incontriamo questi greci, degli stranieri di cui si dice che sono venuti per il culto. Intuiamo quindi che, pur non essendo ebrei, appartengono alla religione ebraica. Ma la cosa che sconcerta di più è che loro esprimono un desiderio profondo: si avvicinano a Filippo, che, tra gli apostoli, ha il nome greco, e gli fanno questa domanda lapidaria: Vogliamo vedere Gesù. È come se dalla folla anonima uscissero di colpo queste figure ben distinte, che si espongono senza timori, che hanno un desiderio chiaro e distinto, un’intenzione ben determinata.
Colpisce molto questa richiesta esplicita in mezzo a quella folla senza volto, a tanta confusione di persone, che per diverse ragioni cercano Gesù. E mi sono chiesta: ma noi, perché vogliamo vedere Gesù? Possiamo discernere dentro di noi la sete e il desiderio autentico di incontrarlo? Come nel salmo 26: il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto. Andiamo a riprenderci questa preghiera e facciamo risuonare dentro di noi queste accorate invocazioni.
L’avventura del credere
Possiamo essere tra quelli che hanno una certa curiosità, ma che in fondo si fermano sulla soglia, stanno a guardare da lontano, per vedere se accade qualcosa di sensazionale. Oppure seriamente siamo colpiti da tutti i prodigi e segni che compie e fortemente interessati a seguirlo, rispettosi e meravigliati della sua figura, desiderosi di fare qualche passo in più verso di lui. Ancora possiamo coltivare atteggiamenti di rabbia, di rifiuto, di esclusione, che fanno emergere le nostre tenebre, le nostre tentazioni di autodeterminazione, di autosufficienza, e magari, senza accorgerci, non tanto nella teoria, ma nella pratica facciamo come se lui non esistesse, come se tutto dipendesse da noi. Per uccidere Gesù non è necessario odiarlo e contrastarlo esplicitamente, ma può avvenire anche nello scorrere mediocre delle nostre giornate, della nostra fede abitudinaria. In fondo l’avventura del credere passa per una lotta incessante: ci vuole un lungo tempo, un combattimento continuo tra i diversi desideri e le tensioni che ci abitano, per discernere la strada più vera, la voce della verità, dell’amore, della bellezza, della fede autentica. Abbiamo il coraggio di andare a fondo delle vie che percorriamo, per lasciarci illuminare da quella prospettiva di vita che più ci fa fiorire, che realmente fa crescere germogli di vangelo.
Nessun uomo è un’isola
C’è un altro elemento importante in questa richiesta esplicita: il fatto che la domanda non è posta direttamente a Gesù, ma a un suo discepolo apostolo, che a sua volta chiama altri suoi compagni prima di arrivare a Gesù. Questa annotazione ci dice che l’esperienza del vedere Gesù passa per la comunione, per le relazioni, per la Chiesa. Nessun uomo è un’isola, mai. Abbiamo bisogno di fare esperienza di Gesù insieme agli altri. Non è solo un bisogno, ma una condizione. Gesù non lo conosciamo da soli, per la nostra capacità più o meno grande di intelligenza, di studio, di ascesi ecc. ecc. ecc, ma perché rimaniamo dentro al tessuto comunitario, in quella rete di legami costituiti dalla preghiera, dalla liturgia, dalla vita, dal servizio disinteressato ai fratelli dentro al quotidiano.
Gesù tra la folla di Alexander Andreyevich Ivanov
Attirati e salvati dalla croce
Tutto il vangelo di Giovanni si snoda attorno al tema del vedere, fin dal prologo, in cui si dice che il Verbo si è fatto carne, venne ad abitare in mezzo a noi e noi vedemmo la sua GLORIA. Questa gloria di Gesù, che la scorsa domenica abbiamo visto come innalzamento sulla croce, oggi ci è presentata come manifestazione, rivelazione del suo destino: É giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. Gesù alla richiesta appena giunta di vederlo, risponde facendo riferimento alla sua morte, con l’immagine del chicco di grano, che per nascere deve cadere in terra e morire: ci sta parlando di una realtà molto difficile per lui, che anche noi tendiamo a rimuovere, perché ci crea angoscia, depressione, turbamento. Tuttavia nel delineare questo suo destino tragico, Gesù fa emergere una realtà importantissima, che è la sua intima relazione con il Padre. La sua gloria è la sua fiducia e il suo abbandono filiale a Dio, soprattutto nel momento estremo della sua morte. È questo il suo segreto, il segreto della sua gloria: essere nel seno del padre, rimanere dentro questo fiducioso abbandono anche nel momento più duro. Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre salvami da quest’ora. Ma per questo sono giunto a quest’ora! Padre glorifica il tuo nome. La gloria di Gesù non è di certo l’autoesaltazione, né la capacità di far fronte da solo alla sua tragica fine, come fosse un eroe; e nemmeno la fama, la stima segretamente cercata e riposta negli uomini che prendono gloria gli uni dagli altri. Questa gloria viene dalla certezza di essere nelle mani del Padre, profondamente amato, sostenuto e accompagnato da lui, proprio nell’ora estrema della sua morte. A questo punto il vangelo annota che venne una voce dal cielo: “l’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò”. A ribadire per noi questo legame tra lui e il padre. La folla indistinta, quella di cui si parlava sopra, avverte questa voce come un tuono, cioè non percepisce la voce di Dio, mentre alcuni intendono la voce di un angelo, e certamente interpretano quelle parole come un messaggio divino. E noi come leggiamo questi avvenimenti? Gli avvenimenti di morte e di oscurità che abitano la nostra storia, le nostre giornate, le nostre case e i nostri paesi? La bella notizia può raggiungerci se ci lasciamo istruire da Gesù, se sapremo perdere la nostra vita, per donarla, se non saremo così attaccati al nostro io, a ciò che apparentemente ci fa bene, ma nel concreto ci fa perdere l’orizzonte e il senso ultimo della nostra esistenza. Allora la bella notizia diventerà realtà anche per noi e il principe di questo mondo, cioè la segreta tentazione umana di farcela con le nostre proprie forze sarà vinta, abbattuta, perché tutti saremo attirati e salvati dalla croce. Lasciamoci attirare e salvare da Gesù.