Il film racconta le storie di tre gruppi di personaggi che si sfiorano, senza incontrarsi mai. La prima, di alcuni poliziotti, membri della Guardia Civil che a Melilla, città autonoma spagnola sulla costa del Marocco che svolgono il compito ingrato di fronteggiare la folla furiosa di immigrati che sognano di entrare in Europa. La seconda di un ambientalista che cerca di combattere il bracconaggio all’interno di un parco naturalistico in Camerun e di comprendere la figlia tossicodipendente, venuta a fargli visita dalla Spagna. La terza di Adù, vero protagonista della pellicola, un bambino di 6 anni che fugge da un destino di morte certa in Camerun, sperando disperatamente di raggiungere il padre in Europa.
Una realtà da guardare in faccia e da sentire col cuore
Il film di Salvador Calvo è un vero pugno nello stomaco, assestato con grande maestria. Nasce infatti dall’esperienza diretta vissuta del regista all’interno del CEAR, la Commissione spagnola per l’aiuto ai rifugiati. L’incontro con alcuni ragazzi del centro e con le loro storie ha prodotto in lui una salutare scossa dal torpore dell’indifferenza e l’urgenza di fare qualcosa, per far capire alla gente che la migrazione non è questione di cifre, ma di persone. Il viaggio di Adù, la sua solitudine, il suo dolore, sembrerebbe impossibile a credersi, se vicende molto simili non fossero tristemente testimoniate da tanti sopravvissuti. Come ad esempio il volo clandestino del bambino, che dopo aver pagato per un pullman che viene bloccato al momento della partenza a causa di un controllo di polizia, viene spinto ad entrare di nascosto nella pancia di un aereo, nel vano destinato al carrello, correndo il rischio di congelare o di precipitare nel vuoto.
