In questa quarta domenica di Quaresima il vangelo ci propone l’incontro di Gesù con il cieco nato, che occupa un intero capitolo (Gv 9), in cui da un lato si inasprisce sempre di più la tragica cecità dei Giudei verso Gesù stesso (iniziata nei capitoli precedenti) e dall’altro ci viene mostrata la strada della luce attraverso il percorso che questo cieco è invitato a fare. E in lui siamo chiamati tutti noi, ciechi dalla nascita, cioè radicalmente incapaci di vedere il senso ultimo delle cose, senza la vera luce che è Gesù. Mi sono sobbalzate subito alla mente le parole di Franco Battiato in Un oceano di silenzio quando dice: cosa avrei visto del mondo, senza questa luce che illumina i miei pensieri neri. Penso che l’esperienza del cieco sia stata realmente un percorso di liberazione dalle tenebre sempre più profondo, un percorso che gli ha permesso di vedere realmente le cose, sé stesso e il mondo nella loro verità. Vogliamo anche noi entrare in questo percorso di progressiva liberazione?
Desiderio di salvezza
La prima cosa che ci viene chiesta è di riconoscere la nostra radicale cecità. Quando i discepoli chiedono a Gesù chi avesse peccato, se lui o i suoi genitori, perché nascesse cieco (v.1), Gesù mette in chiaro che non è questione di giustizia retributiva, come pensavano gli antichi. Secondo quella concezione le colpe dei padri ricadevano su quelle dei figli inesorabilmente: per questo si credeva che le malattie e le disgrazie fossero la conseguenza dei castighi di Dio. Qui Giovanni vuole sottolineare che tutti siamo nelle tenebre senza la vera luce che è Gesù e che la salvezza è inizialmente un dono gratuito: tanto che è Gesù stesso che, camminando (v.1) vede il cieco e lo vuole guarire.
È interessante poi la dinamica della guarigione. Gesù fa dei gesti molto materiali e concreti: sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco […] (v.6) è molto chiaro qui il riferimento alla creazione dell’uomo con la polvere: qui si tratta di una nuova creazione, che ha luogo solo nell’incontro con Cristo, con la vera luce. Tutti siamo radicalmente ciechi e abbiamo bisogno di essere guariti, fatti vivere di nuovo. Questi gesti però da soli non bastano, ma vengono accompagnati da alcune parole che invitano il cieco a fare la sua parte: Va’ a lavarti nella piscina di Siloe (che significa inviato) (v.7a). Probabilmente il cieco si è dovuto far accompagnare, cioè ha dovuto mettere in moto una serie di passi per arrivare fino alla piscina. Sta di fatto che tornò che ci vedeva (v. 7b) e siamo solo all’inizio della sua progressione, che non è solo fisica ma interiore e profonda. La vista recuperata dal cieco è la fede piena, che si fa strada tra diversi ostacoli e che avviene grazie all’incontro salvifico con Cristo. Vediamo quali sono i passi di libertà che fa il cieco e che siamo chiamati a fare anche ciascuno di noi. La vera guarigione spirituale non si dà una volta per tutte, ma è un cammino che avviene attraverso molte prove.
La prova dell’irriconoscibilità.
La gente non riconosce più il cieco di prima e si chiede: Ma è lui o non è lui? L’incontro con Cristo ci cambia e ci trasforma da renderci irriconoscibili davanti agli altri. E non è mai semplice sostenere il giudizio di questo cambiamento e darne ragione, tanto che il cieco dice: quell’uomo, che si chiama Gesù mi ha ridato la vista, ma non so dove sia. Siamo all’inizio di un percorso, per cui Gesù è solo un uomo, un tale che ha fatto una cosa prodigiosa, ma pur sempre un uomo, nemmeno conosciuto e riconosciuto a fondo. Sicuramente il cieco prova stima e gratitudine per lui, una stima e una gratitudine che gli costano però molte domande da parte della gente che gli sta intorno. Siamo capaci di sostenere i giudizi degli altri, di fronte alle esperienze di autenticità che facciamo nella nostra vita?
