Suor Eliana Biffi, Figlia di Maria Ausiliatrice, cura questa rubrica letteraria per chi ama il mondo della lettura e desidera approfondire alcuni argomenti e autori attuali. Nella scheda del libro La casa degli sguardi di Daniele Mencarelli è possibile avere anche una traccia di riflessione da trattare con i gruppi classe o negli oratori centri giovanili.
Il senso delle parole
Protagonista e voce narrante della storia è un uomo che ha perso la capacità di abitare una casa e che non si sente più a casa dentro di sé. Una lotta interiore, quasi disperata, alla ricerca di un senso per vivere.
Nelle prime pagine descrive se stesso come un uomo vivo oltre misura, troppo consapevole, incapace di non interrogarsi e di nascondere a se stesso l’insensatezza della vita. Per questo è un poeta molto stimato, ma come dice lui stesso la poesia testimonia il dolore, non lo cura. Così si rifugia nell’alcol per dimenticare, per non sentire, fino a rovinare ogni relazione, anche familiare. Dietro le quinte una madre che si trascina, quasi ormai senza forze e senza speranza, ma che non molla. Daniele (questo il suo nome, omonimia non certo casuale!) è un poeta che non trova più ispirazione, vuole dare un senso al dolore, ma non crede dentro di sé di poterlo trovare. Eppure non dispera, vuole redenzione e cerca la salvezza attraverso il lavoro.
Grazie a un amico trova un impiego come addetto alle pulizie presso una cooperativa, un’attività manuale che lo mette in contatto con la realtà e in relazione con i colleghi e altre persone che incontra nell’ospedale pediatrico presso cui inizia a lavorare.
L’occhio è lo specchio dell’anima
Trattandosi di un viaggio interiore la risposta alle sue domande non poteva che trovarsi attraverso lo sguardo, mezzo sensibile e insieme capace di raggiungere la profondità del cuore, a volte ferendolo, a volte guarendolo. Si dice che l’occhio è lo specchio dell’anima, ma lo sguardo è anche capace di raggiungere l’anima di un’altra persona o di cogliere l’anima di un gesto.
Superficie e profondità, i due piani in cui si gioca questo romanzo, l’una da pulire, purificare, l’altra da raggiungere, da abitare senza paura. Può riuscire nell’impresa solo un uomo con una straordinaria sensibilità, la sua migliore qualità che fa di lui un poeta e, insieme, la sua condanna che lo rende vulnerabile al dolore proprio e altrui. Ma la riuscita dipenderà dalla sua capacità di uscire da se stesso.
Non è facile scrivere una storia in cui non accadono molti fatti esterni, perché ciò che si vuole raccontare è un cambiamento interiore, e che rischia per questo di avere un ritmo lento. Inaspettatamente riesce a essere un libro che si legge tutto d’un fiato. Forse dipende dal fatto che fin dall’inizio intuisci che la risposta a quelle domande c’è e verrà indicata, e siccome sono le domande che in realtà tutti ci poniamo, magari senza gridarle troppo, nascondendole sotto un’ostentata sicurezza, abbiamo fretta di arrivare in fondo. C’è però anche un altro motivo che fa gustare la lettura di queste pagine, ossia la sensazione che chi racconta abbia davvero vissuto questa esperienza e che abbia trovato il coraggio di raccontarsi, fin nelle più minute descrizioni delle reazioni fisiche, delle emozioni contraddittorie, delle ripetute cadute nel vizio del bere. Il racconto è poi reso vivo dai dialoghi tra i colleghi di lavoro, che dipingono un ambiente popolare, ruvido, ma pieno di umanità.
Alla fine emerge il valore redentivo del lavoro manuale, ma anche dell’incontro con la sofferenza innocente. O meglio, queste due realtà non redimono per se stesse, ma per come il protagonista sceglie di viverle e di farsi interpellare da esse. Sceglie di lasciarsi guardare e impara a guardare. Quale sarà lo sguardo in cui trova la risposta? Vi raggiungerà di certo in modo sorprendente!
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