Desiderio di libertà
Il Vangelo secondo Maria è tratto dal libro omonimo scritto da Barbare Alberti negli anni settanta «per far sorridere la Madonna, contrastando il gran vuoto dei Vangeli su di lei, sola immagine smorta di un affresco dove son tutti vivi: Giuda, Pilato, Pietro… tutti meno Maria, simbolo di sudditanza, messa lì solo per dire sì» (dalla Postfazione alla riedizione del 2023). Si confrontava allora Alberti con i temi caldi dell’epoca: il diritto delle donne a decidere di sé; il bisogno di svincolarsi dalla famiglia di origine e da un modo di vivere la fede oppressivo e clericale; il desiderio di viaggiare e di conoscere come i maschi. In una parola: il desiderio di essere libere. Paolo Zucca, regista e sceneggiatore insieme all’Alberti, ai due protagonisti della vicenda originale ne ha voluto aggiungere un terzo: la sua terra madre, la Sardegna, in tutto il suo splendore arcaico e popolare e proprio perciò universale.
Un apocrifo necessario
Il bisogno di riscrivere le vicende bibliche integrando con l’aiuto dell’immaginazione i silenzi delle Scritture appartiene ai cristiani di tutti i tempi. I testi scaturiti da questo esercizio li chiamiamo apocrifi. Ed è importante specificarlo: non tutti sono eretici. Le storie di Maria bambina e dei suoi genitori santi, le troviamo per la prima volta nel Protovangelo di Giacomo, racconto vistosamente astorico e inverosimile, che cerca di rispondere alle domande dei cristiani del tempo: come può una vergine concepire, partorire e restare vergine? Quali prove abbiamo del prodigio? Com’era la vita di coppia di Giuseppe e di Maria? I fratelli di Gesù erano figli di Maria? E poi ancora: che facevano i genitori di Gesù prima di sposarsi? Come si sono conosciuti? E altre domande del genere. Barbara Alberti e Polo Zucca tentano la risposta alle stesse domande e ad altre ancora, che appartengono piuttosto alla riflessione moderna su Maria: la ragazza era davvero libera di dire di sì al progetto di Dio? E se avesse detto di no, che sarebbe successo?
L’alleanza ricomposta
Anche la figura di Giuseppe, ovviamente, viene rivisitata. Uomo adulto, giusto e buono, egli è presentato come maestro di sapienza. Ed è per questo che i due, seppur sposandosi per accontentare la famiglia di lei, stringono un patto che prevede assoluta castità: Giuseppe sarà il maestro e Maria l’allieva. L’uomo, infatti, ha viaggiato e ha studiato e questo lo distingue dai suoi concittadini rozzi e maschilisti. La dote più preziosa, però, che Giuseppe porta in dono alla ragazza è la capacità di promuovere la sua autonomia, di rispettarla e di trattarla da pari, superando così, proprio nella sua persona, il bisogno di rivendicazione proto-femminista di Maria. In questa coppia, per quanto distante dal nostro immaginario religioso e da ciò che la tradizione della Chiesa ci ha trasmesso, il film ci mette sotto gli occhi il ricomporsi di quell’alleanza tra l’uomo e la donna che appartiene al progetto creatore di Dio. E se questa fosse la sola buona notizia del film, sarebbe già un buon motivo per farlo vedere nelle sale e nei cineforum parrocchiali, accettando per il resto le provocazioni di uno sguardo esterno, laico, su ciò che abbiamo di più caro.