Attraverso lo sguardo e l’esperienza di Maria Maddalena, il film intende raccontarci di Gesù dalla parte delle donne. Il sottinteso è che la tradizione “ufficiale”, essendo stata scritta da uomini, in quel passaggio dall’esperienza allo scritto, dalla vita con Gesù all’istituzione della chiesa, ha lasciato cadere qualcosa che sarebbe andato perduto, ma non al punto da non poter essere almeno immaginato. L’uomo e la donna di oggi, inoltre, si pongono una serie di domande, che vorrebbero rivolgere a Gesù e che però non appartenevano negli stessi termini e con la stessa urgenza ai suoi contemporanei, che l’hanno conosciuto e che hanno scritto di Lui. La domanda sull’identità e sul ruolo della donna nella società e nella chiesa, appartiene a pieno titolo a questa serie.
Un esercizio di immaginazione
I racconti evangelici, d’altra parte, si prestano da sempre, grazie alla loro essenzialità, a riempimenti fantasiosi più o meno legittimi e legittimati dal magistero e dalla teologia. A cominciare dai vangeli apocrifi, fino alle visioni di Maria Valtorta. Il tentativo di arricchire di particolari il racconto dell’esperienza terrena di Gesù corrisponde al desiderio di colmare la distanza storica e culturale che, inevitabilmente, ci separa da Lui. Non soltanto perché l’ambiente e la cultura in cui Egli è vissuto è diversa dalla nostra, ma, per l’appunto, perché la nostra sensibilità è diversa e diverse sono le nostre domande. Il film di Garth Davis scava all’interno di questo solco, approfittando dei silenzi dei vangeli per raccontare ciò che forse è stato, così come avrebbe potuto essere e come forse non lo sapremo mai.
I gesti più delle parole
Più che di un film storico su Maria Maddalena, dunque, si tratta di una riflessione sull’incontro della donna con Gesù, su chi la donna è e può e vuole essere. Sul modo femminile di percepire il sacro e di incarnare la fede. Su quella capacità femminile di prossimità fisica e spirituale che rende le donne più aperte ad imparare da Gesù. La sensibilità femminile per la concretezza segna anche il ritmo narrazione, scandito da gesti dal forte impatto emotivo, piuttosto che da parole. La realtà, tuttavia, è sempre più complessa dell’idea e la polarizzazione tra maschile e femminile su cui è costruito il film rischia a tratti di scadere nella caricatura. A meno che non ne facciamo uno specchio, di fronte al quale porre il nostro cuore e fermarci a riflettere, maschi e femmine, sulla bellezza e sull’ambiguità della nostra fede e sul nostro modo proprio di vivere il comandamento dell’amore.
[/fusion_text]
Sr Linda Pocher, FMA
Docente di Spiritualità mariana
presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”