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CINESCHEDA | Bar Giuseppe
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CINESCHEDA | Bar Giuseppe
Giuseppe l’uomo giusto
Il progetto di questo film, nel quale il regista si confronta con la figura del falegname di Nazaret, l’uomo giusto per eccellenza secondo il vangelo, nasce dalla lettura di un piccolo libro di Gianfranco Ravasi dal titolo: “Giuseppe. Il padre di Gesù” e dal desiderio di aiutare gli spettatori a guardare alla vicenda di quest’uomo con occhi nuovi, non accecati da quella patina di abitudine che ricopre i personaggi più noti della storia, di cui si pensa di sapere tutto. A tale scopo, Giulio Base ci racconta Giuseppe come un uomo di oggi, che vive in un piccolo borgo della periferia italiana, segnato fortemente dall’immigrazione. Come a dire, tanto per cominciare, che accogliere lo straniero e accogliere Dio sono la stessa azione, per cui si richiede rettitudine, capacità di ascolto empatico, apertura di cuore.
Tra il dubbio e la fede
Anziano e vedovo con figli adulti, Giuseppe si ritrova quasi suo malgrado sposo di una giovane donna piena di vita e di bontà. “Bar Giuseppe”, in aramaico “figlio di Giuseppe”, è il nome dell’attività commerciale di cui Giuseppe, falegname per hobby, è proprietario. Attraverso questo gioco di parole, il titolo rivela e nasconde allo stesso tempo il fulcro attorno al quale ruoterà l’intera narrazione: il mistero di una nascita e di una paternità che si può solo credere, non si può spiegare. Lo spettatore è condotto con delicatezza e come per mano fino alle soglie di quell’evento sconcertante. Il travaglio di fede di Giuseppe, di cui il vangelo di Matteo rende testimonianza (cfr. Mt 1,19-20) ci viene offerto come uno specchio, nel quale guardare in faccia il travaglio della nostra fede, riconoscere i nostri propri dubbi, le nostre paure e resistenza di fronte alla tenerezza infinita di Dio.
Una materna paternità
La paternità di Giuseppe, infatti, che il film esplora attraverso il rapporto con i due figli che assomigliano tremendamente ai fratelli di cui Gesù racconta nella parabola lucana del figliol prodigo (Lc 15,11-32), è caratterizzata da un silenzio che al primo impatto può apparire duro, ma che poi si rivela capace di avvolgere il prossimo come in un abbraccio. Una tenerezza che si dispiega in tutta la sua ampiezza quando Giuseppe, in una specie di discesa agli inferi della disperazione umana, si ritrova a dormire sotto a un ponte insieme al figlio tossicodipendente che non gli ha dato, nella vita, altro che guai. Accoccolato tra le braccia del padre, il figlio perduto riposa, finalmente, come un bimbo nel grembo materno. Di fronte alle imprevedibili sorprese di Dio, soltanto l’allenamento ad amare senza condizioni può sostenere il salto della fede. La giustizia di Dio, infatti, è misericordia. Che sia questo il segreto di Giuseppe?
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