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Ho fretta!
In questa domenica di Pasqua vi propongo una riflessione che la mia direttrice, suor Franca, ha condiviso con noi rileggendo il vangelo di Giovanni e insieme alcuni spunti che mi hanno particolarmente colpito.
In questo brano emerge che tutti corrono: al sepolcro corre Maria; corrono Pietro e Giovanni quando Maria di Magdala va a dire che hanno portato via il Signore dal sepolcro. Anche gli altri racconti della risurrezione narrano questa corsa: corrono i discepoli di Emmaus dopo aver incontrato e riconosciuto Gesù quando leggiamo che partirono senza indugio; corrono le donne, avendo abbandonano in fretta il sepolcro.
Ho fretta!
Questa è la fretta buona, direbbe Papa Francesco nel messaggio per la XXXVII GMG, parlando della fretta con cui Maria raggiunge Elisabetta. La fretta buona ci spinge sempre verso l’alto e verso l’altro. C’è invece una fretta non buona, come per esempio quella che ci porta a vivere superficialmente, a prendere tutto alla leggera, senza impegno né attenzione, senza partecipare veramente alle cose che facciamo; la fretta di quando viviamo, studiamo, lavoriamo, frequentiamo gli altri senza metterci la testa e tanto meno il cuore. C’è poi quella frenesia del quotidiano, quando ci sentiamo pressati da mille impegni e mille incombenze, che ci opprimono e ci tolgono energia. La fretta buona invece è quell’entusiasmo e quella leggerezza che ci ritroviamo nel cuore quando, magari anche stanchi e sfiniti, siamo contenti in mezzo a tutte le incompiutezze che ci abitano. Possiamo chiederci da quale fretta ci lasciamo più spesso coinvolgere.
Scrive Ermes Ronchi: Perché tutti corrono nel mattino di Pasqua? Che bisogno c’era di correre? Tutto ciò che riguarda Gesù non sopporta mediocrità, merita la fretta dell’amore: l’amore ha sempre fretta, chi ama è sempre in ritardo sulla fame di abbracci. Corrono sospinti da un cuore in tumulto, perché hanno ansia di luce, e la vita ha fretta di rotolare via i macigni dall’imboccatura del cuore.
La Pasqua inizia con il buio
All’inizio però tutto sembra perduto: c’è delusione e paura. In questo testo di Giovanni infatti l’annuncio della Pasqua inizia con il buio, quando Maria, di buon mattino si reca al sepolcro, portando con sé il suo grande amore per Gesù. È buio fuori, ma soprattutto è buio dentro il suo cuore, per aver perso l’unico che l’aveva capita e amata veramente, liberandola dai pesi che l’opprimevano. Per lei Gesù è il Signore: è realmente la luce, la vita, la verità, il senso pieno. È interessante però che, di fronte al sepolcro vuoto, Maria corra da Pietro e dal discepolo amato. La paura, l’ansia, il senso di perdita vanno condivisi: c’è bisogno di qualcuno a cui raccontare il proprio smarrimento e la propria disperazione, qualcuno che ci aiuti a interpretare i segni di morte e di dolore in una prospettiva diversa. Sappiamo condividere le nostre paure, le frustrazioni, i momenti in cui ci sentiamo perduti? Non è solo un modo psicologico per essere consolati o per rassegnarci e chiuderci in sterili lamentele. È la comunità il luogo reale in cui ricevere la consolazione dello Spirito Santo, in cui possiamo maturare insieme nella fede, anche se non abbiamo capito ancora tutto, anche se siamo attraversati da dubbi e paure.
Non è una competizione
In questo mattino di Pasqua, corrono anche Pietro e Giovanni, per vedere con i loro occhi quello che Maria ha loro annunciato. Lasciano il luogo in cui si trovano per andare da Gesù: Giovanni, il più giovane, il discepolo amato, arriva prima di Pietro, ma aspetta sulla soglia per dargli la precedenza. Così il mattino di Pasqua ci dà una bella immagine della Chiesa: noi siamo quelli che sanno aspettarsi, anche se abbiamo ritmi diversi. La fede nel Risorto e l’incontro con lui è un’esperienza che si fa insieme, mai da soli. Fin dalla risurrezione Gesù ci vuole insieme, come comunità, come fratelli e sorelle che si amano, che si rispettano, si sostengono, si aiutano.
Cerchiamo di capire meglio questa grande verità. Giovanni si era solo chinato e aveva visto le bende per terra (v. 5). Quando arriva Pietro, entrando, vede qualcosa di più: non solo le bende, ma anche il sudario, piegato in un luogo a parte (v. 7). Solo allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette (v. 8).
Ci sono tre verbi importanti che vorrei sottolineare: entrare, vedere e credere. Mi sono chiesta: perché Giovanni sottolinea questa cosa? Penso che ci voglia dire questo: a volte non basta vedere, accorgersi di alcune cose. È necessario vedere e accorgersi insieme, avere e raccogliere più punti di vista, per comprendere meglio la realtà. Inoltre è importante entrare dentro le cose, le situazioni, gli eventi ed entrarci insieme. La vita cristiana non è un pensiero, un insieme di dottrine da conoscere, ma un’esperienza viva, un incontro con la realtà, con tutta la realtà, persino con il vuoto di un sepolcro, con il buio della morte. Paradossalmente possiamo dire che solo entrando nel vivo della morte, abbiamo la possibilità di toccare la vita. L’ultimo versetto di questo brano (v. 9) spiega bene il concetto: Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. La comprensione si compie e s i realizza attraverso un’esperienza viva, drammatica, dolorosa, comunitaria e relazionale. Quanto sappiamo vivere le nostre relazioni con apertura al diverso, accoglienza reciproca, dispnibilità?
La tomba vuota
Un altro elemento importante si trova all’inizio del brano, quando Giovanni sottolinea ciò che vede Maria: la pietra era stata ribaltata dal sepolcro (v. 1). Per il momento questo evoca un’assenza e un vuoto. Ma quest’assenza e questo vuoto sono il sentiero ripido e scosceso da percorrere per raggiungere la vetta della Risurrezione, sono il ponte tibetano da attraversare nella nebbia per incontrare il Risorto vivo. Mi piace qui ricordare uno scritto di don Tonino Bello che definisce la Pasqua la festa dei macigni rotolati.
Vorrei potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno: Pasqua è la festa dei macigni rotolati. È la festa del terremoto. La mattina di Pasqua le donne, giunte nell’orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro.
Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all’imboccatura dell’anima che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. È il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione del peccato. Siamo tombe alienate. Ognuno con il suo sigillo di morte. Pasqua allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la resurrezione di Cristo.
Gesù risorto ci dice che per chi ama veramente non c’è morte che sconfigga, non c’è tomba che imprigioni, non c’è macigno che non possa rotolare via. Se nella nostra vita l’amore ha il primo posto, tutto si può affrontare e superare. Buona Pasqua a tutti noi.
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