Insegno da qualche anno al Centro di Formazione Professionale Don Bosco di Padova e forse tra i formatori del centro sono la meno indicata a poterne parlare. Questo perché l’insegnamento non è stato, per me, un sogno che si è realizzato, ma al contrario una strada che ho volutamente evitato di percorrere per molto tempo per paura di non essere all’altezza del ruolo.
Come potevo essere io un’insegnante?
Ho ricevuto il dono, durante il mio percorso formativo, di incontrare insegnanti che sono stati per me dei maestri, degli amici, dei confidenti e a cui devo molto: il loro ricordo mi accompagnerà sempre.
Ma come potevo essere io un’insegnante? Come potevo essere guida per delle giovani menti? Parlare ai cuori degli adolescenti di oggi?
Perché è questo che un insegnante dovrebbe fare: nutrire il cuore e le menti dei propri allievi. Dare risposte alle loro domande, rispondere al loro bisogno di dare un senso a ciò che sentono, provano, vedono.
Un viaggio fino alla sfida
Non ero pronta ad assumermi una tale responsabilità, consapevole di avere più domande da fare che risposte da dare. Ho viaggiato tra tanti lavori (ogni esperienza è stato un regalo prezioso), ma ogni strada intrapresa giungeva sempre ad un bivio inaspettato e mi costringeva a modificare i programmi per il mio futuro.
È stato un viaggio lungo quello che mi ha portata, in maniera inaspettata, al Don Bosco, una scuola il cui primo e il più immediato riferimento è “il giovane”. Compito infatti dell’educatore salesiano è “essere accanto ai ragazzi” come Don Bosco ci ha insegnato.
Mi sono chiesta perché il Signore mi avesse guidato fino al cancello di una scuola e mi chiedesse di accettare la “sfida” di essere educatore salesiano.
Sapevo che sarei andata incontro a un sicuro fallimento ma ho raccolto tutto il mio coraggio ed ho iniziato spinta dal desiderio di essere, se non una buona insegnante, almeno una persona che svolge il suo lavoro con impegno e senso del dovere.
Insegnare è essere ciò che sei
Il lavoro di un insegnante è difficile e le gratificazioni sempre più rare: spesso i ragazzi continuano ad avere scarsi risultati nonostante i tuoi sforzi; si distraggono e non seguono la lezione anche se hai trascorso ore a pensare a come renderle interessanti; non ti dicono grazie per l’impegno che metti nel tuo lavoro; può capitare che preferiscano farsi un sonnellino in classe pur di non ascoltare ciò che hai da dire.
Ti mettono alla prova continuamente, ti sfidano al solo scopo di scoprire quale sia il tuo limite, inventano ogni giorno un nuovo modo per infrangere la regola che hai dato. Ti portano a dubitare di te, delle tue capacità, delle tue motivazioni.
Ma poi quando smetti di cercare di essere un “buon educatore”, una guida salda che ha tutte le risposte e ti mostri semplicemente per “ciò che sei”, capisci che loro non chiedevano altro.
La risposta
Improvvisamente ti accorgi che se non ti ascoltano è perché vogliono parlarti, farti partecipare alle loro vite. Non hanno bisogno delle risposte ma che tu ascolti le loro domande in silenzio. Sono disposti a perdonare i tuoi errori più di quanto tu faccia con loro. Ti consolano quando sbagli o non riesci a fare qualcosa. Hanno la pazienza di spiegarti e rispiegarti ciò che non sai su di loro e sul loro mondo. Insomma, per loro vai bene così come sei: imperfetta!
Forse non mi sentirò mai all’altezza di essere educatore salesiano ma grazie all’incontro con le suore di Maria Ausiliatrice che mi hanno aperto le porte di questa comunità, sono riuscita a dare un senso ai tanti sentieri percorsi, sempre amorevolmente guidata, che mi hanno condotta oggi a svolgere un lavoro che mi rende felice ogni giorno.