In questa terza Domenica di Avvento ci viene rivolto un invito ad accogliere Gesù così com’è: appare nei gesti più umili, di servizio, nei momenti di incontro tra persone in bisogno. Giovanni in questo momento si trova in carcere, isolato, sulle rive del Mar Morto ed è qui che affronta la fase del dubbio. Come Giovanni, anche noi abbiamo vissuto istanti in cui, colti da qualche delusione, dal male, dalla sofferenza, abbiamo messo in discussione la nostra fede. Ho creduto, mi sono fidato: perché adesso devo affrontare questa terribile situazione?
Gesù rispose loro: Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo! (Mt 11, 4-6)
Una scomodità che rende liberi
La vita non è un percorso piano, senza cadute o senza difficoltà. Speriamo di poter evitare i crolli, di vivere un’esistenza tranquilla ma ciò che accade non sempre coincide con le nostre attese. La storia di Cosimo Piovasco di Rondò incarna la posizione scomoda in cui si trova Giovanni: pur vivendo fasi difficili delle loro rispettive vite, non rinunciano a vedere il mondo profondamente.
Protagonista de Il barone rampante, secondo libro della trilogia I nostri antenati (Italo Calvino, 1957), a 12 anni viene messo in punizione dai genitori per via della sua ferma decisione di non voler mangiare le lumache cucinate dalla sorella. Ribellandosi alla famiglia, stabilisce che da quel giorno avrebbe vissuto sull’albero di casa. Da qui non scenderà mai più. Si muove così di albero in albero, inizia a condurre una vita che si rivelerà tutt’altro che noiosa. Costruisce un’esistenza fatta di obiettivi da realizzare, di sogni, di avventure.
È chiaro che oggi viviamo in un mondo di non eccentrici, di persone cui la più semplice individualità è negata, tanto sono ridotte, a una astratta somma di comportamenti prestabiliti. Il problema d’oggi non è ormai più della perdita d’una parte di se stessi, è della perdita totale, del non esserci per nulla. (Italo Calvino, Nota a I nostri antenati (1960) in Romanzi e racconti)
