Lotta per la sopravvivenza
13 ottobre 1972. Il volo 571 dell’Uruguayan Air Force, che trasporta una squadra di rugby, i loro amici e parenti, si schianta sulle montagne andine. Dei 45 passeggeri a bordo, solo 16 riescono a sopravvivere allo schianto e alle condizioni estreme del luogo, inclusi freddo, fame e isolamento, in attesa dei soccorsi che sembrano non arrivare mai. La ricostruzione cinematografica della vicenda si basa sull’omonimo romanzo di Pablo Vierci, La società della neve: la storia mai raccontata dei sopravvissuti al terribile disastro aereo delle Ande. Il racconto si sviluppa attraverso le testimonianze e i ricordi dei protagonisti, restituiti con incredibile realismo dal lavoro di squadra dei giovani attori, la maggior parte dei quali allo loro prima esperienza di fronte alla cinepresa, dei tecnici e del regista, che bene mette in evidenza le sfide, non solo fisiche ma anche psicologiche, morali e spirituali che emergono durante la dura lotta del gruppo per la sopravvivenza, mantenendo sempre alta la tensione narrativa e mostrando fino a che punto è capace di resilienza l’essere umano.
Voce alle vittime
Non è la prima volta che la vicenda viene portata sul grande schermo: nel 1976 ci aveva provato il regista messicano Renè Cardona, con una pellicola dal titolo I sopravvissuti delle Ande; nel 1993 Frank Marhall con Alive. Sopravvissuti, con Ethan Hawke. Da entrambi i precedenti, La società della neve si differenzia in modo particolare per l’attenzione dedicata alle vittime del disastro, tanto quanto ai sopravvissuti. Il film onora le vite di coloro che non ce l’hanno fatta, umanizzando le loro storie e dimostrando come il salvataggio dei sopravvissuti non sarebbe stato possibile senza il contributo degli altri. E proprio in questa capacità del gruppo di fare corpo, di dare tutto per la salvezza del prossimo, sta il segreto della riuscita dell’impresa impossibile. Ogni vita perduta, diventa così una vita donata, che ha valore in sé e che merita di essere ricordata. Ad un certo punto della pellicola, il protagonista, che accompagna lo sviluppo della vicenda come voce narrante, condensa questa esperienza nella citazione di un versetto del vangelo di Giovanni, che lascia ai suoi compagni come testamento spirituale: non c’è amore più grande, che dare la vita per glia amici.
